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"Paese mè, 'n te pozze mai scurdà ...".Le semplici, toccanti parole della celeberrima canzone popolare abruzzese "Paese mè", del M.o Antonio Di Jorio, sono l'espressione più genuina per descrivere il profondo ed indissolubile vincolo affettivo che lega ogni uomo, per tutta la sua esistenza, al paese natio.

Questo sito è dedicato a tutti gli abruzzesi che vivono lontano dalla loro terra e si propone, per quanto possibile, di offrire loro le immagini più significative dei luoghi in cui hanno visto la luce e mosso i primi passi.
 
 
 
 
 
 
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Prefazionedi Don Giuseppe Di Filippo

Introduzionedi Giuliana Gardelli


 

Prefazione

 

Da vario tempo mi ero proposto di rendere in lingua vernacola la VIA CRUCIS, la pia pratica che, indubbiamente, è la più vicina al cuore dei fedeli cristiani perché fa rivivere la via dolorosa nella partecipazione alla passione e alla morte di Cristo. Questo desiderio però mi era sembrato molto difficile da realizzare in considerazione del fatto che la descrizione delle quindici Stazioni avrebbe potuto portare a delle ripetizioni, data la natura della narrazione stessa.

Ero a conoscenza di manifestazioni poetiche dialettali aventi come oggetto la VIA CRUCIS fatta dalla Settembrata Abruzzese, ma si trattava, ogni volta, di poeti, ciascuno dei quali descriveva una stazione. Non mi risulta che ci sia stato qualcuno che le abbia scritte tutte da solo, perciò il compito mi sembrava quanto mai arduo, alla fine mi sono fatto coraggio.

Nella Quaresima dell’anno 1992 ho iniziato, ma mi sono fermato alla settima Stazione e non c’è stato verso di andare oltre. Ho ripreso nella Quaresima dell’anno 1993 e, questa volta, il tentativo è stato più felice e l’ho completato alla media di una Stazione al giorno.

Non so quale accoglienza avrà questa mia manifestazione di fede, se capiterà in mano di qualcuno.

In genere non sono amante di presentare al pubblico le mie espressioni poetiche perché le considero uno sfogo del mio animo più che una interlocuzione con gli altri, perciò non ho mai partecipato ad un certame poetico.

Comunque sono soddisfatto perché sono riuscito a portare a termine questo lavoro e l’ho reso anche in lingua italiana per rendere più agevole la comprensione a quelli che non conoscono il nostro dialetto.

Mi sono deciso a pubblicare questa VIA CRUCIS, che giaceva da vari anni nel cassetto della mia scrivania, in occasione del sessantennio del mio sacerdozio per farne omaggio a tutti i miei concittadini.

L’ho voluto fare per offrire a tutti una possibilità di riflettere sulla passione, morte e risurrezione di Cristo nella forma popolare della VIA CRUCIS che, purtroppo, oggi viene poco seguita e praticata dai cristiani.

La passione di Cristo è la chiave di volta per riconsiderare la nostra vita anche come momento di sofferenza e di sacrificio che bisogna vivere nella prospettiva della salvezza in unione a Cristo Redentore che, attraverso la passione e la morte, ha redento il mondo.

S. Paolo diceva "compio in me quello che manca alla passione di Cristo", ma cosa può mancare alla passione di Cristo se non la nostra partecipazione e la nostra unione a lui nella nostra sofferenza sopportata con lui al fine di partecipare alla salvezza nostra e di tutto il genere umano? Ecco perché abbiamo bisogno di riconsiderare la via della Croce per prendere da Gesù l’esempio del come e del perché della sua passione e motivare così la nostra sofferenza e la nostra croce.

La forma dialettale e il discorso in prima persona possono suscitare maggiore confidenza in noi verso colui che, nostro vero amico, ha sofferto tanto per ridarci la pace e la salvezza.

Mi sono permesso di pubblicare, in fondo al volumetto, una poesia che feci a mio padre il 25 Marzo del 1980 mentre, nel suo letto di dolore, trascorreva nella sofferenza gli ultimi momenti della vita, 50 giorni da me pienamente e affettuosamente condivisi. La poesia si intitola "Creste ‘n Croce" perché, nel vedere lui, mi sembrava di vedere Cristo morente sulla Croce. Non credo possa essere una profanazione.

Questo volumetto viene impreziosito da due interventi: l’uno scritto, l’altro figurativo.

La Dott.ssa Giuliana Gardelli ha stilato una introduzione storico – artistica della VIA CRUCIS. Conosco la Gardelli da 20 anni quando cioè, nel 1986, iniziammo la serie di Convegni sulla ceramica abruzzese, come attività culturale del Museo Capitolare su impegno preso in seguito alla donazione Bindi di cento ceramiche Castellane, da allora, è stato il nume tutelare di tutti i nostri Convegni e abbiamo, quest’anno, celebrato il nono.

Essa, insigne ceramologa di fama internazionale, con la maestria che la distingue, ha tracciato, prima, una storia della VIA CRUCIS nella sua genesi e nei suoi sviluppi e poi un excursus sulla VIA CRUCIS nell’arte in generale e nella ceramica in particolare. Non mi dilungo nell’esaltare l’importanza dello scritto perché, leggendo, voi stessi potrete apprezzarne il valore.

L’intervento figurativo è opera del Prof. Nino Facciolini, valente ceramista di Castelli e mio carissimo amico, che ha raffigurato sulla ceramica le 15 Stazioni della VIA CRUCIS che sono riprodotte nel testo, ispirandosi ai Maestri Castellani dell’epoca d’oro della ceramica.

Penso di aver fatto una cosa buona perché, nell’occasione del mio Sessantennio di sacerdozio, a un momento religioso tra i più significativi, ho unito un momento culturale che serve per elevare ancor più il nostro spirito e la nostra mente sempre per la maggior gloria di Dio e il bene per le nostre anime.

                                                                                          Giuseppe Di Filippo

 


 

 

Introduzione

 

1- Breve storia della VIA CRUCIS

La VIA CRUCIS è un cammino spirituale, che il singolo compie tramite una meditazione intima, imperniata sulla considerazione dei messaggi che Cristo ha lasciato nella sua andata al Calvario, specie durante le pause, le Stationes. Come pratica personale, legata al bisogno di assumere su di se il dolore del Cristo in quanto momento centrale della redenzione, la VIA CRUCIS è devozione moderna che ha avuto nel corso dei secoli una lentissima evoluzione.

La visione medievale legata all’immagine del Cristo trionfante non guarda alla sofferenza umana del Salvatore, per cui la devozione ai luoghi santi è solo un lontano prodromo, che tuttavia porta al culto del Calvario e del Santo Sepolcro. Il desiderio di riprodurre in altre città le località relative alla Passione ha un primissimo sbocco nel complesso di Santo Stefano a Bologna, ma vede già attorno al Mille moltiplicarsi le imitazioni europee come si osserva anche nella vicina Borgo S.Sepolcro.

Tuttavia è con il basso medioevo, nel clima della rinata società cittadina, che il fedele comprende Cristo nella sua umanità.

Solo considerando la Passione come dolore e sofferenza, l’uomo può avvicinarsi a Dio, sentirlo uomo e compatirlo. Se le Crociate hanno avuto una importanza fondamentale nella divulgazione del culto per i luoghi Santi e per i pellegrinaggi, la devozione al dolore divino nasce, non da un momento collettivo, ma dal travaglio meditativo personale di alcuni santi, primo fra tutti S.Bernardo da cui dipendono i grandi mistici medievali. Tuttavia il vero precursore della VIA CRUCIS è S. Francesco, la cui vita si identifica con la Passione concretizzata nelle stigmate.

L’entrata dei francescani nella storia della chiesa segna un momento fondamentale che coinvolge ogni aspetto della vita sociale, da quello religioso a quello artistico e letterario.

Si pensi alla importanza per lo sviluppo dell’arte moderna occidentale che ebbe il cantiere di Assisi, mentre proprio da S. Francesco inizia la lingua letteraria italiana, così come il teatro riceve massimo impulso dai drammi sacri francescani. Lo Stabat Mater di Iacopone da Todi sarà fondamentale per tutta la storia della VIA CRUCIS, ma se si riguarda bene la sua lauda drammatica Donna de Paradiso, si nota che la Passio è in lui fenomeno corale, che non si sofferma ancora sui passaggi del Cristo, nè sui momenti del suo cammino.

Nasce massimamente ad opera dei francescani tutta una letteratura sulle Meditationes vitae Christi che comprende anche le Meditationes de passione Christi che i predicatori divulgano, tanto più che dal 1230 i Frati Minori sono ufficialmente delegati ad accompagnare i pellegrini alla visita dei Luoghi Santi di Gerusalemme di cui sono custodi.

Eppure non è da Gerusalemme che viene la VIA CRUCIS, chè anzi, il percorso viene fatto a rovescio, partendo dal sepolcro e solo alcuni personaggi corrispondono alle Stazioni della VIA CRUCIS, in quanto lo scopo era la visita generale della città e non ai luoghi della Passione. Il primo che aveva parlato del cammino del Cristo caricato della Croce era stato un domenicano, Ricaldo de Monte Crucis (+ 1309), ma è solo con il secolo XV che nell’Europa del Nord (Germania, Olanda, Belgio), si instaura la devozione al cammino del Cristo con la Croce e, in particolare, con le sue cadute. Esse variano di numero da cinque a quindici, ma ben presto, sulla influenza dell’ufficio divino distribuito nelle sette ore del giorno, e nei sette giorni della settimana, divengono universalmente sette.

L’arte, ancora una volta, si adegua al pensiero, per cui bassorilievi e disegni illustrano la Passione vista nel culto delle cadute. Adam Krafft a Norimberga alla fine del ‘400 scolpiva la più antica e famosa VIA dolorosa vista nella successione delle sette cadute. Sarà questa la devozione che più ostacolerà la VIA CRUCIS in quattordici Stazioni, anche perché il sette veniva a combaciare con il culto introdotto da S. Filippo Neri di visitare le sette Basiliche romane in ricordo della Passione. Contemporaneamente si divulgano manuali meditativi sul cammino di Gesù frazionato dalle pause, fra cui è fondamentale un libretto scritto fra il 1470-80 da Bethlem, la cui prima edizione è quella edita ad Anversa nel 1518. Bethlem si rifà ad un manoscritto della metà del ‘400 esistente presso il Convento dei Frati Minori di Saint-Trond, che per la prima volta proponeva di seguire in spirito il cammino di Cristo, diviso in dodici Stazioni. Bethlem tuttavia porta le Stazioni a venticinque. Intanto anche in Spagna, ad opera di Alvaro di Cordova, era apparsa nel 1405 una serie di oratori nel convento di Scala Coeli presso Cordova, le cui cappelle avevano dipinte molte scene simili alle nostra Stazioni. Il Beato Caini, presso Novara a Varallo, aveva innalzato numerose cappelle con scene della Passione. Tuttavia sono i fiamminghi Jean Van Paschen (+ 1532) e Adricomio (+ 1585) che, attraverso opere di larghissima divulgazione pongono le basi della VIA CRUCIS attuale anche se nel numero di dodici Stazioni. Nonostante una larga apparizione francese ad opera di Parvilliers che propaga 18 Stazioni, la enorme influenza di Adricomio per tutto il Seicento fa sì che si moltiplichino le erezioni di VIAE CRUCIS in modo particolare in Spagna, dove vengono aggiunte le ultime due Stazioni, il compianto e la deposizione, nella forma attuale, forse ad opera di P. Antonio Doza. Dalla Spagna il culto passa in Sardegna, dove nel 1616 venne eretta la prima VIA presso Valverde e nel 1628 ad opera del sardo P. Salvatore Vitale, che aveva dimorato a lungo in Spagna, il Cammino della Croce viene proposto presso la chiesa di San Miniato a Firenze con 14 croci. Lo stesso P. Vitale scrive un direttorio della Via Crucis e, giunto a Roma, all’Ara Coeli (dove muore nel 1647) insegna l’esercizio frequente della VIA CRUCIS da esso sempre praticata. Nel 1630 a Giaccherino presso Pistoia il F.M. Bonaventura Pacini erige la VIA, ma sempre con croci, non con immagini. Agli studi attuali la prima VIA CRUCIS italiana a 14 Stazioni con immagini a fresco pare essere quella del 1636 a Monteripido presso Perugia. Malauguratamente gli affreschi, ridipinti nel 1712 da Nicola Nesini sono andati perduti, così come sono perdute all’Ara Coeli le immagini della VIA CRUCIS del 1702. Essa aveva sancito, nonostante opposizioni ancora aperte e perduranti almeno mezzo secolo, il cammino della Croce in 14 Stazioni nell’ordine attuale. San Leonardo da Porto Maurizio (1676 – 1751) con un opera indefessa che lo porta ad innalzare ben 572 VIAE CRUCIS in Italia riuscirà ad ottenere attraverso Brevi pontifici indulgenze speciali, ma soprattutto che ad erigere le VIAE potessero essere non solo i francescani e nel territorio soggetto alla giurisdizione del generale, ma anche le parrocchie che avessero un convento francescano. Nel 1736 furono tolte le distanze fra le Stazioni stabilite da Adricomio sulla scia di Gerusalemme e, solo Pio IX nel 1871, abolirà la prerogativa data ai francescani. Tuttavia anche ai primi decenni del ‘700 si fanno cammini con numero diverso di Stazioni e, specie in Germania, permane il culto delle sette Stazioni corrispondenti alle sette cadute.

Perfino in Italia il P. Antonio d’ Olivadi (1651 – 1720) erige ancora, agli inizi del ‘700 cammini di sette croci, ma si può affermare che con i primi decenni del secolo decimottavo la VIA CRUCIS prende la sua forma definitiva.

 

2- Le origini iconografiche della VIA CRUCIS

La VIA CRUCIS, per la sua stessa formazione, ha avuto una lunga gestione iconografica. Non si può ancora affermare se vi sia stata una precedenza della stampa rispetto alla pittura o alla scultura, in quanto non sono controllabili le immagini della VIA eretta a Cordova nel 1405.

Precedenti importanti furono senza dubbio i gruppi scultorei sulla Passione di Adam Krafft a Norimberga della fine del ‘400, imperniati sulle sette cadute di Cristo. In Italia della stessa epoca è il Sacro Monte di Varallo eretto dal Caimi, e del secolo seguente i complessi scultorei del Tirolo. Tuttavia si è ancora lontani dalle immagini devozionali che diverranno canoniche, né sappiamo se i primi testi di preghiere avevano o no immagini.

Solo alla fine del XV secolo iniziarono a diffondersi semplici fogli xilografati con episodi della Passione in forma di "vignette" a quadrelli o a medaglioni. Come si osserva in alcune incisioni fiorentine con Crocifissione centrale e 14 quadrelli che illustrano gli episodi dall’entrata a Gerusalemme alla Pentecoste.

Altri precedenti importanti nella lenta evoluzione iconografica sono state le Biblia Pauperum, opere divulgative con notevole diffusione specie nei paesi nordici dalla fine del medioevo e le cui immagini erano trasposizione povera delle miniature.

Tuttavia forse la fonte più importante per lo sviluppo iconografico della VIA CRUCIS è stato senza dubbio il culto del "Rosario", introdotto dall’omonima Confraternita a Colonia nel 1475, dove le "Rose" con i "Misteri Dolorosi" gia erano visualizzazioni di alcune Stazioni. Dürer con la Grande Passione e la Piccola Passione (1507 – 1513) fu determinante per la diffusione del culto.

In Italia Giulio Bonasone con il ciclo della Passio in 28 stampe e Lorenzo Lotto nella Pala di Cingoli con la Madonna del Rosario (1539) sono da considerare i veri precursori iconografici. Al Lotto si ispirarono pittori e incisori, come Battista Franco, il Genga, Raffaellin del Colle, che ebbero grande importanza per la traduzione pittorica anche nella maiolica. Nel Seicento si moltiplicarono i libri di preghiere sulla Passione di Cristo con immagini, anche isolate, riferiti al ciclo del Cammino; le più riprodotte erano: Cristo e Pilato, l’Andata al Calvario, la Crocifissione, la Deposizione.

Se fino a tutto il ‘500 si è potuto seguire una chiara influenza tedesca sull’origine iconografica del culto, nel Seicento le Stazioni furono una conquista fiammingo-spagnola. Infatti da Adricomio a da Pasca fiamminghi e da Daza spagnolo, deriva la attuale VIA CRUCIS come codificazione delle Stazioni e modello di preghiera. Tuttavia, quanto ad immagini, l’evoluzione seguì forse una via spagnola, ora non facilmente controllabile per la mancanza di studi specifici e per la dispersione di tanti cicli pittorici.

In Italia la prima serie affrescata relativa esclusivamente a questo culto pare sia stata quella eretta a Monte Ripido preso Perugia nel 1633, purtroppo perduta nell’Ottocento, così come perduta è quella del 1702 dell’ Ara Coeli a Roma, che era accompagnata da un libretto di preghiere forse con immagini incise.

Tutta l’opera indefessa di San Leonardo da Porto Maurizio consisteva in elevare le VIAE con croci, per cui si può affermare che il primo tentativo organico di creare un’iconografia specificatamente relativa alla devozione della VIA CRUCIS sia avvenuta in maiolica da maestranze di Casteldurante (Urbania) nel 1733/34, ma ancora con molte incertezze, tanto che non ebbe seguito.

Anche a Castelli l’evoluzione iconografica fu preceduta da immagini desunte dalla Passio e solo in parte confluite nella VIA. Lo si constata in splendidi esemplari di vasi da pompa dipinti nella bottega Grue intorno al terzo-quarto decennio del ‘700, dove solo alcune scene saranno poi immesse nella VIA secondo la formula Crucifigatur, creata intorno al 1758-1768. Attribuita un tempo allo stesso San Leonardo da Porto Maurizio, ma probabilmente ideata da Padre Gabriangelo da Vicenza, divenne la formula canonica più diffusa nelle preghiere, e da essa dipende tutta la iconografia successiva.

Occorre pertanto giungere al 1736 per avere la prima serie di stampe incise con le 14 Stazioni appositamente preparate per essere appese in quadretti. Essa fu creata e Bologna nella stamperia Dalla Volpe da G. Cantarelli ed ebbe immediatamente una enorme diffusione e servì da modello per interi cicli ceramici, sia a rilievo sia dipinti con una precisa iconografia, destinata a pochi e insignificanti varianti fino ai nostri giorni, quando da Papa Giovanni Paolo II è stata aggiunta la stazione XV con la "Resurrezione".

Agli studi attuali il centro che ha presentato già intorno al quarto/quinto decennio del Settecento il culto in tavolette maioliche adatte per essere appese negli edifici religiosi o nelle case, è stato Castelli, con successivi risvolti nel napoletano.

Una ricerca di quanto rimane ha mostrato purtroppo quanto è andato perduto di una produzione settecentesca che dovette essere ricca, e presente in quasi tutte le maggiori fabbriche della cittadina montana, dai Grue ai Gentili.

Nella Chiesa Madre di Bisenti si poteva ammirare, prima del deprecabile furto di alcuni anni fa, tutta una serie completa dipinta Antonio Gentili nel 1802/3 su specifica commissione. Sempre alcuni anni fa fu rubata da una Chiesa di Casoria nel napoletano una intera VIA CRUCIS dipinta su maiolica di cui purtroppo non rimane neppure la documentazione fotografica. Più fortunati siamo con una serie già in collezione Ruggeri a Teramo che, dopo vari passaggi dovrebbe ancora trovarsi in proprietà privata a Bologna e che fu da noi mostrata alcuni anni fa proprio ad Atri durante il 3° Convegno di studio sulla maiolica di Castelli.

Il gruppo di 14 tavolette proviene dallo smembramento e successivo assemblaggio di due o tre VIAE in parte eseguite da membri della famiglia Grue ed in gran parte da quella dei Gentili, a dimostrazione della diffusione di questa forma devozionale per il culto pubblico e, nell’Ottocento, anche privato.

È auspicabile una maggiore attenzione da parte di tutti verso un’arte devozionale che, semplice e complessa nello stesso tempo, tanto ha dato e continua a dare al nostro animo e al nostro spirito, per una meditazione individuale e corale sui valori della vita.

                                                                                          Giuliana Gardelli

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