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"Paese mè, 'n te pozze mai scurdà ...".Le semplici, toccanti parole della celeberrima canzone popolare abruzzese "Paese mè", del M.o Antonio Di Jorio, sono l'espressione più genuina per descrivere il profondo ed indissolubile vincolo affettivo che lega ogni uomo, per tutta la sua esistenza, al paese natio.

Questo sito è dedicato a tutti gli abruzzesi che vivono lontano dalla loro terra e si propone, per quanto possibile, di offrire loro le immagini più significative dei luoghi in cui hanno visto la luce e mosso i primi passi.
 
 
Altra opera di Mons. Giuseppe Di Filippo pubblicata su questo sito: VIA CRUCIS - Versi in Vernacolo con traduzione
 
Un ringraziamento a Don Giuseppe per averci dato la possibilità di pubblicare alcuni suoi pregevoli lavori su "Viaggio in Abruzzo.it".
 
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I bozzetti che illustrano alcuni Proverbi, Modi di dire e Cantilene sono del M.o Federico Tamburri

Pag. 2 - PROVERBI
 
Indice: Prefazionedel Prof. Giuseppe Profeta (Pag. 1) I Proverbi e il dialettoPresentazione dell'Autore (Pag.1)
  1. - PROVERBI (N° 135 - Pag. 2)
  2. - MODI DI DIRE (N° 63 - Pag. 3)
  3. - CANTILENE (N° 19 - Pag. 3)
  4. - VOCABOLARIETTO (N° 432 vocaboli - Pag. 3)

 


 

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

A distanza di pochi anni, si sono esaurite le 1.000 copie pubblicate e ci siamo sentiti in dovere di procedere ad una seconda edizione.
Il presente volume è più ricco del precedente perchè presenta altri 35, fra detti e proverbi, in più e 150 vocaboli nuovi che arricchiscono il vocabolarietto.
Dedico questo lavoro al mio caro fratello Mario, deceduto il 28 Agosto 2005. Egli, vero innamorato di Atri, parlava volentieri il dialetto e si compiaceva di sfidare i suoi amici proponendo loro dei termini ormai desueti e si divertiva quando non riuscivano a renderli in lingua italiana. Egli mi ha aiutato molto nella ricerca dei vocaboli e mi piace segnalare, con commozione, che sul comodino, a fianco del suo letto, ho ritrovato il mio libro con dentro delle pagine piene di termini dialettali che poi mi avrebbe trasmesso per arricchire il vocabolarietto.
Grazie fratello, mio collaboratore.

                                                                                          L'Autore

 


 

NOTA
Al solo scopo di evidenziare la fonetica della vocale " e " che nel dialetto atriano si pronuncia in svariati modi, ho pensato di usare gli accenti nel modo seguente: l’accento circonflesso per indicare la " ê " stretta, l’accento acuto per la " é " aperta, l’accento grave per la " è " muta accentata. E’ evidente che l’accento grave verrà usato anche per tutte le altre accentazioni accessorie. La " e " semplice, quando non funge da congiunzione, è sempre muta.

 

Li Pruvirbiije   I Proverbi

Quanta sapiénze

tenêije li ‘ndeche

‘nghe tutte li pruvirbiije

che ha ‘mmentate.

“L’apparenze ‘nganne,

lu vistete

nen fa lu frate.

‘Ngarescete férre

cà tinghe n’ache da vênne.

E’ miije l’ove huije

che la gallène dumane.

Chije spare ‘nne attacche

spare ‘nne ascioije.

Ije so come lu setacce

coma me fì te arefacce”.

Stu poche cambiunarie

presentate

ce parle de na storie

che ha passate,

storie de ‘mmètie

e gelusèije,

de come la ‘ggénte

se cumpurtêije

e la vete d’ogne ijurne

se vevêije.

Ma la saggêzze

‘nge manghêije maije

pe areparà vodde a vodde

pêne e guaije.

Atri, 13 febbraio 1986

 

Quanta sapienza

avevano gli antichi

con tutti i proverbi

da loro inventati:

“L’apparenza inganna,

l’abito

non fa il frate.

Ferro, fatti più caro

perché ho un ago da vendere.

E' meglio l’uovo oggi

che la gallina domani.

Chi non lega la “spara”

non la scioglie.

Sono come il setaccio,

come mi fai ti rifaccio”.

Questo scarso campionario

presentato

ci parla di una storia

che è passata,

fatta di invidie

e di gelosie,

di come si comportava

la gente

e come si viveva

la vita di ogni giorno.

La saggezza però

non mancava mai

per far fronte ogni volta

a pene e guai.


1 - PROVERBI (N° 135)
N.B. Al testo scritto in giallo è collegato un bozzetto illustrativo. Cliccare su di esso per aprire l'immagine.
 
  PROVERBIO TRADUZIONE SPIEGAZIONE
1- “A chije aspette, n’hêre ije ne pare sétte” A chi aspetta, un'ora glie ne sembrano sette. L'attesa è sempre pesante, sia se si tratta di buone aspettative, sia se si attendono brutte notizie. Ecco il motivo per cui il tempo non passa mai. Se si attendono cose buone si è ansiosi, se invece si aspettano brutte notizie si vive nell'angoscia e il tempo stenta a trascorrere.

 

2- “A la Signêre che magnêije li pullastrelle ije venne vulèije de li pera cotte”. Alla signora che mangiava i pollastrelli venne voglia delle pere cotte. L'uomo, su questa terra, non è mai soddisfatto di nulla e, qualche volta, non avendo da desiderare di meglio, desidera quello che vi è di meno buono.

 

3- “A paijàra vicchie 'nge manghe maije li sêrge. Nel vecchio pagliaio non mancano mai i topi. Quando le cose vanno di traverso non mancano mai le circostanze che servano ad aggravare la situazione. Proprio come nel povero e disadorno ripostiglio non mancano questi animali che contribuiscono a rendere più evidente il degrado.

 

4- “A Sante vicchije ‘nze appicce ‘cchié cannèle”. A Santo vecchio non si accendono più candele. Se questo era vero nel passato, lo è ancora più oggi in cui si vive di “dipendenze” e di favori. E’ evidente che chi comandava una volta ed ora non comanda più non è tenuto nella stessa considerazione di prima. Oggi infatti non può farci più quei favori che ci faceva quando era ancora in auge. Non si deve dimenticare però che chi si è adoperato per il bene di tutti merita ancora quel rispetto che gli è stato tributato quando era responsabile della cosa pubblica.

 

5- “Appleche e fa sapêne”. Mettiti all’opera e otterrai il risultato. La traduzione un po’ arbitraria della frase dialettale è il significato vero del proverbio. Se non si mettono bene le basi, non si riuscirà mai ad avere un risultato soddisfacente.

 

6- “Attacche l’asene dova vò lu patrêne”. Lega l’asino dove vuole il padrone. Se si dipende da qualcuno è inutile fare dei ragionamenti superflui. Anche se si è convinti che un certo modo di fare non corrisponde alla giusta norma, se la volontà superiore non è favorevole, non serve recalcitrare e dimostrare il contrario. Allora conviene fare come ci viene richiesto anche se non ne siamo troppo convinti.

 

7- “Bardisce, hummene e murte ha simbre turte”. Bambini, uomini e morti hanno sempre torto. E’ risaputo che i bambini hanno sempre torto perché non sono in grado di difendersi e, se qualche volta lo fanno, sono messi subito a tacere. La stessa cosa avviene per gli uomini quando discutono in casa, è facile trovare l’appiglio per dimostrare che quello che dicono o fanno è sbagliato, per cui ha sempre ragione la moglie. I morti poi hanno sempre torto perché non si possono più difendere, non ci sono più. Per questo motivo si prendono tante colpe che non hanno mai commesso. Tanta gente è scagionata da atrocità compiute perché chi avrebbe potuto testimoniare non c’è più e le colpe vanno addossate a chi ormai non si può più difendere.

 

8- “Cchiù t’abbisse e ‘cchiù lu cule te se scopre”. Più ti abbassi e più ti si scopre il sedere. Gli antichi erano meno puritani di noi, ma più incisivi. Il proverbio che, in realtà, è poco cristiano, vuol dire che più uno si disprezza, si umilia e più c’è chi ne approfitta. Certo non somiglia all’altro:” l’albero più è alto e più si inchina”.

 

9- “Chije aspétte, ‘Ddèije l’assétte”. Chi aspetta, Dio l’assetta. Noi siamo ansiosi di avere subito tutto quello che vogliamo, specie se siamo certi che si tratta di un nostro diritto. Spesso, però, se noi riusciamo a moderare la nostra ansia, possiamo avere dei risultati insperati.

 

10- “Chije càreche e scàreche nen perde maije témpe”. Chi carica e scarica non perde mai tempo. Se tutti i lavori si programmassero e venissero poi eseguiti secondo un ordine prestabilito non si andrebbe incontro a lungaggini e ripensamenti. Alle volte invece si assiste ad opere fatte e poi disfatte. Il proverbio, che è abbastanza ironico, si riferisce ad operazioni di questo genere.

 

11- “Chije gere de notte và ‘nghêndre a la morte”. Chi va in giro di notte va incontro alla morte. Questo proverbio, di moda molti anni fa, dopo un periodo di calma abbastanza lungo, è tornato in auge in questi ultimi tempi. Una volta però erano pochissimi quelli che giravano nelle ore notturne, oggi invece, il numero dei nottambuli si è moltiplicato e, con esso, i rischi che sono diventati anche più caratteristici. Una volta la causa prima degli omicidi notturni e diurni era il vino. Oggi invece sono la droga, la velocità, la spericolatezza le cause di una mortalità notturna sempre più in aumento.

 

12- “Chije ha ‘mmassate ocche smasse cà se n’ha calate lu cile de lu fêrne”. Chi ha ammassato che smassi perché se ne è crollato il cielo del forno. Una volta il pane si faceva in casa e le donne confezionavano la pasta che poi veniva portata al forno per essere cotta. La manipolazione della pasta veniva detta “ammassare”. Il fornaio passava casa per casa per avvertire quando bisognava iniziare tale operazione. Nel nostro caso si immagina che il fornaio passi per avvertire che non se ne fa più niente perché la volta del forno si è sprofondata. Il proverbio fa riferimento a quando non si può portare a termine una faccenda perché sono sopravvenuti dei fatti che ne impediscono il compimento.

 

13- “Chije ijoche a lu lotte e spére de vênce, lasse li stracce e peije li cènce”. Chi gioca al lotto e spera di vincere, lascia gli stracci e prende i cenci. Non mancano quelli che, nella speranza di diventare miliardari, spendono nel gioco più di quello che hanno e rimangono sul lastrico. Passano così da uno stato di indigenza ad uno stato di miseria, aggravando la loro situazione già molto precaria. L’unica sicurezza ci viene da un lavoro stabile e sicuro.

 

14- “Chije l’arte nen vò ‘mbarà, sberre o frate se ha da fa”. Chi non vuole imparare un mestiere si deve fare o sbirro o frate. Si vede che una volta le due categorie presentate dovevano essere più facilmente raggiungibili dagli sfaticati o, peggio, dovevano essere tenute in così poca considerazione che qualsiasi altro mestiere veniva ritenuto più importante.

 

15- “Chije magne prème, magne ‘ddu vodde”. Chi mangia prima, mangia due volte. Come quando si fa la conta, se esce un numero superiore di uno a quelli che partecipano, il primo viene contato due volte, così, se uno mangia prima, può darsi che, se ne avanza, possa mangiare una seconda volta: La morale del proverbio è questa: iniziare sempre prima per trovarsi avvantaggiato.

 

16- “Chije negozie cambe, chije fatèije crépe”. Chi negozia campa, chi lavora crepa. Il lavoro manuale è stato sempre considerato meno redditizio del commercio. Ecco il perché di questo proverbio e il desiderio, specie nel passato, di poter raggiungere il traguardo di un banco di vendita. Oggi non credo che questo desiderio sia cos’ cogente come nel passato perché i supermercati hanno inferto un colpo mancino ai piccoli commercianti che spesso si sono visti costretti a chiudere l’attività.

 

17- “Chije nen po’ vatte sacche, vatte sacchêtte”. Chi non può infierire sul sacco, infierisce sul sacchetto. Qualche volta ci si vorrebbe vendicare o si vorrebbe colpire una persona dalla quale noi riteniamo di essere stati danneggiati, ma è troppo in alto per cui, o non ci si può arrivare, o si teme che le conseguenze potrebbero essere ancora più gravi. Allora si cerca di colpire un suo dipendente, o un suo famigliare, o una sua istituzione che non c’entrano proprio per nulla.

 

18- “Chije péquere se fa, lépe se le magne”. Chi si fa pecora viene mangiato dal lupo. Nella vita bisogna essere risoluti e consci delle proprie capacità. Chi si schernisce e ha poca fiducia in se stesso, viene sopraffatto dai più furbi.

 

19- “Chije pò, fà a zumpètte, chije no, se sta zètte”. Chi ne è capace fa i salti, chi no sta zitto. Sembra che ci sia bisticcio tra il fare e il parlare, ma il significato del proverbio è quanto mai chiaro: soltanto chi ha delle capacità è in grado di mostrarle.

 

20- “Chije se vésceche ‘nze annéghe”. Chi si agita non annega. In mezzo al mare, per non affogare, bisogna saper nuotare o, per lo meno, agitarsi aspettando che qualcuno ti venga a salvare. Così è pure nella vita di ogni uomo. Se non ci si dà da fare, se non ci si muove per riuscire ad avere qualche occupazione o impiego, si corre il rischio di soccombere.

 

21- “Chije se vregugnò diijunò”. Chi ebbe vergogna fece digiuno. Molte volte la riservatezza porta brutte conseguenze. Se non si è un po’ sfacciati, può succedere che si è defraudati anche di diritti sacrosanti.

 

22- “Chije spare ‘nne attacche, spare ‘nne ascioije”. Chi non lega la “spare” non la scioglie. La “spare” o “lu sparêne”, era un pezzo di stoffa grezza di cm. 80 x 80 circa, che, foggiata a mò di ciambella, aveva lo scopo di sostenere sulla testa la “conca” di rame con cui le donne casalinghe andavano a prendere l’acqua alla fontana. La “spare”, però, aveva anche lo scopo, riservato oggi alle buste di plastica, di contenere varie cose. Vi si mettevano: farina, legumi, uova od altro, si legavano tra loro le quattro cocche e così il tutto si poteva trasportare agevolmente. E’ evidente che si legava la “spare” anche per portare un dono e, chi lo riceveva, slegava la “spare” per cui la interpretazione del proverbio è molto semplice e ovvia: “chi vuole ricevere, deve dare”

 

23- “Chije te bbattêzze te è cumbare”. Chi ti battezza ti è compare. Il padrino è colui che si prende cura spirituale del bambino che presenta al battesimo. Fuori del particolare riferimento, il proverbio vuol dire: risponde di te chi si interessa di te.

 

24- “Chije té li quatrène fabbreche, chije nne té desêgne”. Chi ha i soldi fabbrica, chi non ce li ha fa progetti. Per poter attuare un qualsiasi progetto occorrono possibilità economiche, altrimenti ci si deve limitare a sognare, senza poter realizzare nulla di concreto. Senza mezzi materiali non si possono risolvere problemi pratici.

 

25- “Chije té lu célle ‘mmane e ‘nze le spiême ‘nge se aretrove ‘cchijé ‘nghe ‘lla furtene”. Chi ha l'uccello in mano e non lo spiuma non ci si ritrova più con quella fortuna. Bisogna approfittare delle occasioni favorevoli che si presentano perchè non ne potrebbero più capitare. Il proverbio è una versione meno pagana del carpe diem latino.

 

26- “Coma te prepìre lu ijacce te ce aggìcce”. Come ti prepari il giaciglio ti ci sdrai. La formulazione classica di questo proverbio è:”Il tuo futuro sarà come te lo vai preparando”. E’ significativa però, nell’espressione dialettale, la figurazione del letto sul quale ci sdraieremo e che sarà come ce lo siamo preparato.

 

27- “Cunsèije de hélbe, destruziêne de gallène”. Convegni di volpi, distruzione di galline. E’ risaputo che i peggiori nemici delle galline sono le volpi. Nel nostro caso però il discorso si fa più generico: quando si riuniscono certi consessi, c’è sempre da temere che venga fuori qualche provvedimento che a qualcuno può dispiacere.

 

28- “Cuscijìnze e quatrène ‘nze sa chije le té”. Coscienza e quattrini non si conosce chi ce li ha. La coscienza e i soldi sono cose altamente riservate. La coscienza riguarda l’ambito dello spirito e regola tutti i nostri comportamenti, rimane pertanto nel segreto del cuore. I quattrini, poi, non si mettono tanto in mostra per le molte implicazioni che ne possono derivare. Rimangono perciò nascosti e sono difficilmente individuabili.

 

29- “Daije, daije, daije, la cepêlle devente haije”. Dagli, dagli, dagli, la cipolla diventa aglio. Non so se ai tempi in cui è stato formulato questo proverbio l’aglio avesse una valenza più grande della cipolla. Comunque, nel nostro caso, si vuole sottintendere che, a furia di insistere, le cose possono essere cambiate in meglio. Del resto, anche Gesù si rifaceva all’insistenza per ottenere le grazie.

 

30- “Da la cocce vé la tègne, da lu péte vé la magagne”. Dalla testa viene la tigna, dal piede viene il malanno. I mali vengono dai capi e dai sudditi. Molto spesso, però, sono peggiori le malvagità che vengono commesse dai responsabili della cosa pubblica che non quelle commesse dalla gente comune. Eppure i primi dovrebbero essere inappuntabili, se è vero che l’esempio viene dall’alto.

 

31- “Dope che ha successe lu guàije la case s’arembièsce de cunsèije”. Dopo che è successo il guaio la casa si riempie di consigli. Molte disgrazie si potrebbero evitare se si fosse più prudenti e le cose si esaminassero prima con maggiore attenzione. Purtroppo questo non avviene e, solo dopo che è successo il fattaccio, si pensa a quello che si sarebbe potuto fare. A questo punto molti sono prodighi di suggerimenti che però si sono guardati bene di dare prima che le disavventure si verificassero.

 

32- “Dope li cumbitte hésce li defitte”. Dopo i confetti escono i difetti. Questo proverbio non ha soltanto un riferimento matrimoniale, e cioè che, dopo il matrimonio, viene fuori qualche magagna che si è celata prima, ma si riferisce anche ad eventuali intoppi che possono insorgere dopo aver concluso un affare a stipulato un accordo.

 

33- “Dova nen passe lu frêdde nen passe manghe lu calle”. Dove non entra il freddo, non entra neanche il caldo. Questa espressione proverbiale diventa spesso un alibi per giustificare certe nostre posizioni non sempre razionali. E’ forse un modo di difendersi da atteggiamenti che vogliono forse emulare i beduini del deserto.

 

34- “Dova se magne ‘Ddèije ce accumbagne”. Dove si mangia Dio ci accompagna. Il mangiare è sempre stata una delle attività più ricercate e più piacevoli per l’uomo. E’ evidente che però il proverbio non vuole riferirsi al solo mangiare, ma ad ogni cosa da cui l’uomo può ricavare qualche utile o piacere.

 

35- “Dova sta tanta ghille ‘nze fà maije ijurne”. Dove stanno tanti galli non si fa mai giorno. Quando sono in molti ad avere responsabilità di comando e di direzione, spesso non si riesce a risolvere le cose perchè gli ordini possono arrivare in modo disordinato e forse anche contraddittorio per cui difficilmente vanno a buon fine.

 

36- “E’ ‘cchiù la spêse che la ‘mbrêse”. E’ più la spesa che il ricavato. Molte volte, per raggiungere dei risultati, si compiono tanti di quei sacrifici che non ne vale la pena. E’ meglio non pretendere mai troppo, anche perchè, spesso rincorriamo dei miraggi che si perdono poi nel nulla.

 

37- “E’ trèste chije nen té ninde, ma è ‘cchijù trèste chije nen té nisciéne”. E’ triste chi non ha niente, ma è più triste chi non ha nessuno. Avere almeno il necessario è sempre desiderato da tutti, per cui non avere il sufficiente per vivere intristisce la persona. Ma non avere nessuno a cui rivolgersi, sia esso parente o amico, intristisce ancora di più perchè, la compagnia e l’amicizia, sono cose di cui l’uomo non può fare a meno.

 

38- “Fà béne e scurdete, fà male e pènsece”. Fa bene e scordatene, fa male e pensaci. Questo proverbio universale non poteva mancare nel corredo dei proverbi atriani. Del bene che facciamo dobbiamo scordarci perchè c’è chi ce lo ricorderà a suo tempo. Dobbiamo piuttosto pensare al male fatto per pararne le conseguenze.

 

39- “Facce hìjnnere facce nore, ma l’asene vicchie porte la some”. Faccio generi faccio nuore, ma è sempre il vecchio asino a portare il carico. Il proverbio registra il lamento di un povero diavolo il quale dà in moglie le sue figlie e dà in marito i suoi figli e spera di poter essere aiutato nei lavori della campagna o dell’azienda e, invece tocca lavorare solo e sempre a lui perchè gli altri se ne vanno per i fatti loro.

 

40- “Fèije de hatte surge acchiappe”. Il figlio del gatto prende i topi. Ognuno si comporta come natura detta ed agisce come è nato per fare. Come il gattino impara subito a prendere i topi, così anche noi seguiamo il nostro istinto.

 

41- “Fiocche nen fa ghênne, tutte aiute a ijêgne”. Un fiocco non fa la gonna, ma tutto aiuta ad aggiungere. La positività di questo proverbio era molto sentita nel passato, quando si viveva in una certa ristrettezza di mezzi ed allora si era portati a risparmiare e a mettere da parte anche le minuzie. Oggi invece, nel pieno andazzo della civiltà degli sprechi, questo modo di comportarsi è passato un pò di moda. Comunque anche oggi conviene riconsiderare con serietà che le grandi cose si raggiungono sommando insieme le piccole cose.

 

42- “Frèije lu pésce e guarde la hatte”. Friggi il pesce e guarda il gatto. Il consiglio che viene dato è molto saggio. Quando, infatti, si fanno delle cose delicate e impegnative non bisogna mai perdere di vista l'avversario che potrebbe approfittare di una nostra svista per trarne il suo tornaconto.

 

43- “Genta trèste, ‘nnumenate e vèste”. La gente cattiva appare appena se ne parla. Può accadere che mentre stiamo parlando male di una persona, questa appaia all’improvviso ed allora facciamo la battuta molto scherzosamente.

 

44- “Guaije ‘nghe la pale, morte nen vinghe maije”. Guai con la pala, ma la morte non venga mai. La morte è stata sempre considerata come un male irreparabile, con la morte infatti finisce ogni nostra realtà terrena. Perciò si è stati sempre disposti ad accettare qualunque malanno anche grave, pur di non incorrere nel malanno irreparabile. Guai con la pala vuol significare: guai in grande abbondanza. Tutto ciò però sarebbe sempre meno della morte.

 

45- “Ha ijète a cercà grazie e ha truvate ijustèzie”. E’ andato a trovare grazia e ha trovato giustizia. Alle volte succede che, avendo sbagliato qualche cosa, si cerca di correre ai ripari invocando pietà presso i responsabili, senonchè può accadere che, nella circostanza, possano affiorare dei particolari che, invece di favorire la soluzione, ne aggravi invece le conseguenze.

 

46- “Ije te dèce harre e tu t’aggicce”. Io ti dico di andare avanti e tu ti sdrai. “Harre”, era il termine classico per incitare gli asini, in particolare, ad accelerare il passo. Il proverbio si usava per incitare, sia l’operaio, sia il garzone, quando il lavoro intrapreso non lo si portava a termine con la voluta celerità.

 

47- “Ijétte la préte e annaschênne la mane”. Butta la pietra e nasconde la mano. Ci sono alcuni i quali buttano fuori dei giudizi che poi cercano di minimizzare adducendo dei pretesti incongrui. Non hanno il coraggio di esprimere pienamente il loro pensiero e allora cercano di nasconderlo facendo supporre che si tratta di giudizi espressi dagli altri.

 

48- “L’acque che ‘nne ha piovete ‘n cile sta”. L’acqua che non è piovuta sta ancora in cielo. Il proverbio deve essere interpretato con criterio perchè non vuol dire con assolutezza che quello che non è accaduto dovrà accadere, ma se qualcosa deve avvenire e ritarda a realizzarsi, sicuramente accadrà. Nulla quindi che dia corpo alla fatalità.

 

49- “L’arte de tate è mézze ‘mbarate”. L’arte del padre, in parte, è imparata. E’ evidente che si tratta di mestieri e non di professioni. A furia di stare assieme al padre, il figlio del falegname, o dell’idraulico, o del muratore, senza particolari insegnamenti acquisisce delle nozioni tali che gli consentono di associarsi al padre nel lavoro. Non allo stesso modo e con la stessa facilità, il figlio del medico, o dell’avvocato riesce ad apprendere la professione paterna.

 

50- “La bellêzze fène a la porte, la buntà fène a la morte”. La bellezza fino alla porta, la bontà fino alla morte. Questo proverbio molto ben comprensibile nel suo enunciato, è molto scaduto d’importanza in questi nostri tempi di scollamento morale. Una volta si teneva molto di più alla bellezza morale che a quella fisica, oggi invece, la bontà viene spesso considerata dabbenaggine.

 

51- “La cire se fréghe e la prucessiêne nen cammène”. La cera si consuma e la processione non cammina. Molte volte piuttosto che risolvere un problema con una certa sollecitudine, si perde tempo in chiacchiere inutili. Il tempo passa, la situazione si aggrava e si resta fermi forse perchè non si trova una soluzione ottimale.

 

52- “La gallène féte l’ove e lu galle strèlle”. La gallina fa l’uovo e il gallo strilla. Quante volte succede che chi fa opere egregie e se ne sta in disparte, viene surclassato dal furbo che se ne serve per rivendicarne i meriti. Può darsi anche che uno soffre e l’altro ne approfitta per prendersene il beneficio.

 

53- “La hanghe manté la cianghe”. La mandibola sostiene la gamba. Si tratta di uno di quei proverbi che bisognerebbe lasciare così come sono enunciati perchè qualsiasi traduzione li rovina. Il significato d’altronde è molto semplice: se non ci si nutre a sufficienza non si ha la forza di camminare.

 

54- “La ijérva cattève nen more maije”. L’erba cattiva non muore mai. Come i poveri, così anche i cattivi li avremo sempre con noi. La cattiveria, se non nasce con l’uomo, la si acquisisce nel corso della vita per tanti motivi tra i più disparati. Come c’è sempre zizzania in mezzo al buon grano così ci saranno sempre cattivi in mezzo ai buoni.

 

55- “La raije de la matène aremèttele pè la sêre e la raije de la sêre arepénnele pè la matène”. La rabbia del mattino rimettila per la sera e la rabbia della sera rimettila per la mattina. E’ un consiglio veramente cristiano quello di far decantare l'ira nel tempo. Col passare delle ore, tutto si ridimensiona.

 

56- “La rota hênte ‘nnè strèlle”. La ruota lubrificata non cigola. Nel periodo di tangentopoli che stiamo vivendo, questo proverbio è di grande attualità. E’ notorio che quando un tizio deve ricevere un favore offre una contropartita, grande o piccola che sia a seconda dell’importanza del favore, questo perchè sia più agevole l’apertura della “porta”. L’espressione proverbiale che ha secoli di vita ci fa ben capire che tangentopoli è esistita da sempre.

 

57- “La ‘rrobbe de l’avarêne se le sfrésce lu sciampagnêne”. La roba dell’avaro la sperpera il prodigo. Questo avviene soprattutto quando un figlio spendaccione e sconsiderato dilapida in breve il patrimonio che il padre ha accumulato in tanti anni di fatiche e di sacrifici. Quando il denaro non lo si è guadagnato, non lo si considera. Ognuno deve conoscere il costo del benessere per apprezzarlo a sufficienza.

 

58- “La ‘rrobbe de lu ‘rriffe e ‘rraffe se ne va ‘nghe lu ‘zziffe e ‘zzaffe”. Il frutto dell’intrallazzo se ne va con lo spreco. I termini intraducibili del proverbio si capiscono facilmente nel contesto della frase. Ciò che si conquista illecitamente altrettanto illecitamente si consuma. Tutto ciò che non è frutto di lavoro dura poco.

 

59- “La supérbije ijò a cavalle e arevènne a ‘ppéte”. La superbia andò a cavallo e tornò a piedi. La superbia tende ad amplificare le proprie capacità e a valorizzare impropriamente i propri meriti. Il tutto però, dovrà essere sottoposto a verifica per dimostrare se i fatti corrispondono alla verità. Allora veramente, se si è esagerato, si correrà il rischio di fare una brutta figura.

 

60- “La troppa cumbedénze fa perde la criànze”. La troppa confidenza fa perdere la creanza. Essere democratici è un fatto positivo perchè non ci si deve distaccare e allontanare dai meno dotati. Qualche volta però c’è chi ne approfitta e dimentica che ci sono dei limiti che non si devono oltrepassare e sono i limiti determinati dall’educazione e dalle buone maniere.

 

61- “L’hìsene lèteche e li varèle se sfasce”. Gli asini litigano e i barili si sfasciano. Quante volte assistiamo a dei litigi che non giovano a nessuno e sono semplicemente pretestuosi, però fan sempre male a qualcuno. Immaginate due genitori che litigano tra di loro e le conseguenze che ne possono derivare ai figli.

 

62- “L’hommene veziêse de tabbacche, va a l’imberne e se porte la pèppe”. L’uomo vizioso di tabacco, và all’inferno e si porta la pipa. l proverbio vuol far capire quanto sia forte lo stimolo che deriva dall’abitudine viziosa perchè, in realtà, è più imperiosa la spinta verso il male che viene dal vizio, che non la spinta verso il bene che viene dalla virtù.

 

63- “L’hosse vicchije acchênge la pignate”. L’osso vecchio condisce la pentola. Chi ha una certa età ha più esperienza degli altri e quindi i suoi giudizi sono più maturi e più retti. Il giovane invece, anche se brillante, è più superficiale e non sempre è capace di penetrare nell’intimo delle cose. Ecco allora lo spirito del proverbio: la persona anziana, con la sua saggezza, condisce tutte le esperienze della vita.

 

64- “L’ucchije de lu patrêne ‘ngrasse lu cavalle”. L’occhio del padrone ingrassa il cavallo. Se si vuole che le cose vadano bene ciascuno se le deve controllare personalmente. Le “deleghe”, molte volte, si risolvono a favore dei “delegati”.

 

65- “Li cucce rétte và simbre ‘n gere pè la case”. I cocci rotti vanno sempre in giro per la casa. Il proverbio si usa per chi, ormai anziano e mal ridotto per gli acciacchi sempre in aumento, si lamenta perchè sente che ormai la vita sta per abbandonarlo. Però, come i cocci che in casa sono più usurati vengono trattati con più riguardo perchè non si rompano definitivamente, così chi avverte difetti evidenti si cura più facilmente e campa più a lungo.

 

66- “Li guaije de la pignate le sà la cucchiare”. I guai della pentola li conosce il mestolo. Quasi mai le situazioni precarie di una famiglia trapelano al di fuori della casa. Molto spesso vengono falsate. Solo chi vive all’interno riesce a calcolarne la gravità nella sua interezza.

 

67- “Li parinde è ‘ndé li scarpe, ‘cchiù è strètte e ‘cchiù fà dulè”. I parenti sono come le scarpe, più sono stretti e più fanno male. Per fortuna questo fenomeno non avviene con molta frequenza, però può succedere che le più grosse delusioni possano essere procurate dalle persone più care.

 

68- “Lu ‘cchiù pulète té la rêgne”. Il più pulito ha la rogna. La rogna è una malattia della pelle molto fastidiosa. Per una curiosità posso aggiungere che ha vari appellativi e, mi dicono, che in un ospedale militare gli appellativi variavano a seconda del grado di chi ne era colpito: per un soldato semplice, si trattava di rogna, per un sottufficiale si trattava di scabbia, per un ufficiale invece, si trattava di prurito alla pelle. Il proverbio vuol far risaltare che in questo mondo tutti hanno un difetto, e la rogna sarebbe il meno grave.

 

69- “Lu cotte sopra lu vullète”. Il cotto sul bollito. Alcune volte ad una disgrazia da cui si è stati colpiti vengono ad aggiungersene altre. Si tratta di una catena che potrebbe essere spiegata col detto “una ciliegia tira l’altra”. In questo caso la situazione si complica e diventa sempre più grave.

 

70- “Lu pianta grane ijétte la préte e annaschênne la mane”. Il piantagrane butta la pietra e nasconde la mano. Chi vuol seminare zizzania cerca di fare di tutto per non farsene accorgere. Cade allora a proposito questo proverbio che vuol farci comprendere come il malvagio cerca di fare di tutto perchè nessuno se ne accorga.

 

71- “Lu rècche fa ‘ndà vò, lu puverélle fa ‘ndà pò”. Il ricco fa come vuole, il povero fa come può. Il proverbio è, purtroppo, di una evidenza solare. Chi ha tante possibilità ha modo di scegliere, chi ne ha poche si deve accontentare di quello che ha. D'altronde c'è l'altro detto che dice: Chi si contenta gode.

 

72- “Lu sangue se lagne, ma ‘nze magne”. Il sangue si lagna, ma non si mangia. Il significato di questo proverbio è molto sottile. Il consanguineo, è questo il senso da dare a sangue, si lamenta se ha ricevuto qualche torto da qualche suo parente, ma non mangia, non si vendica. E’ un pò la volgarizzazione del ”cane non morde cane”.

 

73- “Lu vene ‘bbone se vênne senza frasche”. Il vino buono si vende senza frasca. Questo proverbio dovrebbe essere una degna risposta alla nostra epoca in cui vige il principio che la pubblicità è l’anima del commercio. La rèclame fa vendere anche articoli meno buoni. Il prodotto, invece, si deve affermare da sè.

 

74- “Lu vove desse curnéte all’asene”. Il bue disse cornuto all’asino. Ognuno di noi ha i suoi difetti, ma non li vede perchè, come disse Esopo nella favola, Giove ha posto i difetti nostri dietro le nostre spalle e i difetti degli altri davanti. Allora succede che si attribuiscono agli altri le manchevolezze che si riscontrano in noi.

 

75- “Màgnete ‘ssà menéstre o zùmpete ‘ssà fenéstre”. Mangiati quella minestra o salta quella finestra. Questa espressione era pronunciata quando si presentavano situazioni che non consentivano alternative di sorta. O si fa così oppure avviene l'irreparabile. E' evidente che minestra e finestra non hanno niente a che vedere con il detto, ma si prestano molto bene per rendere evidente la tragicità della situazione.

 

76- “Maije mazzate ha fatte bon cane”. Mai le percosse hanno ben educato un cane. Spiegando un altro proverbio abbiamo già parlato di una educazione imposta con le punizioni corporali. Queste, piuttosto che educare, irritano il soggetto che ne trae perciò più danni che benefici.

 

77- “Maije raije d’asene saijò ‘n Cile”. Mai raglio d’asino salì in Cielo. In Cielo salgono le preghiere e le invocazioni dei buoni e degli umili. Mai imprecazioni ed invettive possono colpire Dio. Il proverbio si riferisce soprattutto all’invocazione rivolta a Dio perchè faccia capitare qualche male al prossimo.

 

78- “Matremunie e vescuvate da lu Cile è distenate”. Matrimoni e vescovati sono destinati dal Cielo. Non so se questo proverbio è stato sempre veritiero. In realtà, molti matrimoni, nel passato, sono stati combinati in modo molto superficiale e, spesso, anche artificioso. Oggi poi affiorano altre convenienze che escludono senza meno l’intervento celeste. Per quel che riguarda poi la nomina a Vescovo, spesso nel passato, si sono verificate situazioni poco “celesti”, ed anche oggi qualche nomina sfugge al controllo del “Cielo”.

 

79- “Mazze e panélle fà li fèije ‘bbélle”. Mazze e panini fanno i figli belli. Questo proverbio oggi non è più alla moda. I pedagogisti moderni, e non soltanto loro, reagiscono, nonostante anche la Bibbia dica:”Non parcas virgae – non risparmiare la verga”. Certo non bisogna esagerare, ma se qualche ragazzo avesse ricevuto qualche punizione in più oggi forse non sarebbe uno scapestrato o un drogato.

 

80- “Mbare l’arte e mèttele da parte”. Impara un mestiere e mettilo da parte. Non si sa mai quello che può succedere nella vita, per cui non è male, se si ha l’occasione, imparare a fare qualcosa che al momento potrebbe non servire. A un certo punto, può essere utile avere appreso ciò che si riteneva superfluo, ma che sempre può servire. Male che vada, un hobby o un secondo lavoro, possono essere molto distensivi nella vita.

 

81- “Me sò ijète a fà la Crêce e me sò cacciate l’ucchije”. Mi sono fatto il segno della Croce e mi sono cavato un occhio. Molte volte ci si impegna con buona volontà per risolvere delle situazioni in senso positivo, ma l’operazione non riesce, anzi può darsi che si complica in modo grave. Le buone intenzioni non sempre riescono a far risolvere i problemi.

 

82- “Mêije, marète e feije coma ‘Ddeije te le dà te le peije”. Moglie, marito e figli come Dio te li da te li pigli. Una volta si era più disposti a sopportare situazioni che venivano a verificarsi nella vita, ora non più. Oggi, specialmente per quel che riguarda moglie e marito, c’è chi risolve le cose al di fuori della volontà di Dio.

 

83- “Miije a magnà poche e stà vicène a lu foche”. Meglio mangiar poco e stare vicino al fuoco. Certe volte, per guadagnare di più, si accettano impegni di lavoro in località lontane dalla propria casa. Non si pensa che forse si dovranno affrontare maggiori spese e pericoli che frustreranno il maggior guadagno auspicato. Ed allora la saggezza del proverbio ci invita a guadagnare di meno e stare vicino a casa.

 

84- “Miije la morte dêntre a la case che nu Marchisciane arréte a la porte”. Meglio la morte in casa che un Marchigiano dietro la porta. Questo proverbio risente sicuramente della tradizione storica e geografica che vedeva i Marchigiani cittadini dello Stato Pontificio e gli Abruzzesi, invece, di quello Borbonico. Forse c’era anche qualche attrito per la diversità di carattere che poteva esserci tra gli abitanti delle due regioni confinanti.

 

85- “Miije li pinne ‘n curène che li pinne dêntre la tène”. Meglio tenere i panni al vento che non dentro il mastello. Si dice di situazioni precarie in cui è meglio prendere delle decisioni poco favorevoli piuttosto che andare incontro a risultati catastrofici. Come appunto è meglio esporre i panni al rischio del vento che li può portare via o sgualcire piuttosto che non vederli marcire nell’umidità del mastello.

 

86- ”Miije l’ove huije che la gallène dumane”. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Assicurarsi un successo subito, anche se limitato, è sempre stata l’ambizione di tutti. Chi ci assicura che, rinunciando al poco, sicuro, di oggi otterremo il molto, incerto, di domani? E allora accontentiamoci del poco, ma certo, rinunciando al molto, ma incerto.

 

87- “Miije sêle che male accumbagnate”. Meglio soli che in cattiva compagnia. Questo proverbio è quanto mai vero. Se è inequivocabile che la compagnia sia importante per l’uomo, è altrettanto importante che la compagnia sia indovinata. Molte volte si fanno delle cattive esperienze per cui non bisogna farsi adescare dal primo che si presenta, ci vuole tempo e bisogna tenere gli occhi ben aperti per raggiungere una certa sicurezza. Altrimenti si dà credito all’altro proverbio che dice “quande ha successe lu guaije, la case se arembiesce de cunsèije”.

 

88- “Morte ze Culérie ‘nze fa ‘cchiù pignate”. Morto zio Aurelio non si fanno più pignatte. Si vede che Aurelio doveva essere un figulino che lavorava la creta per fare cocci da cucina. Probabilmente doveva essere l’unico che faceva questo mestiere se alla sua morte non ci sarebbero state più pentole. Carenza di artigiani anche a quell’epoca! Può anche significare però che non finisce il mondo se qualcuno viene a mancare.

 

89- “Na vodde chêrre lu lébbre e na vodde chêrre lu cacciatêre”. Una volta corre la lepre e una volta il cacciatore. Per fortuna, nella vita, non sempre vince il più forte. Arriva il momento in cui anche il più debole avrà la sua rivalsa. E’ questo il senso profondo del proverbio che è espressione dell’animo popolare: la lepre, dinanzi al cacciatore è costretta a fuggire, ma può succedere che, per i motivi più impensati, sia costretto a fuggire anche il cacciatore.

 

90- “’Ncarèscete ferre cà tinghe n’ache da vênne”. O ferro aumenta di prezzo perchè ho un ago da vendere. E’ risaputo che le nostre cose le consideriamo più importanti delle cose degli altri, mentre se vendiamo o compriamo, il prezzo della vendita è considerato sempre più scarso di quello dell’acquisto. E’ doveroso invece da parte nostra, dare alle cose il loro giusto valore indipendentemente dal fatto che siano di nostra proprietà o di proprietà degli altri. L’egoismo non è certamente la migliore dote dell’uomo.

 

91- “’Ncumbagnèije piijò la mêije pére lu frate”. In compagnia prese la moglie anche il frate. Quando si è insieme si è capaci di fare qualunque cosa, anche ciò che da soli non si sarebbe mai fatto. Questo significa che l’emulazione, in bene o in male, è contagiosa. Perciò bisogna essere guardinghi per evitare, sia la troppa confidenza, sia l’uso esagerato degli eccitanti.

 

92- “Ne sà ‘cchié lu patète che lu sapéte”. Conosce più i problemi colui che li ha sofferti che non colui che li ha solo conosciuti. Chi ha esperienza diretta di una situazione che ha sofferto, certamente ne sa di più di colui che l’ha semplicemente conosciuta. La pratica, come sempre, val più della teoria.

 

93- “Nen fà coma lu funare che ‘mmèce de ijè anninze hardà arréte”. Non fare come il funaio che, invece di andare avanti torna indietro. Il mestiere di fabbricante di funi era un altro tipico mestiere paesano. Nel mozzo di una ruota si inseriva la canapa che si intrecciava man mano che la ruota veniva girata da un operaio. Un altro operaio, camminando all’indietro, e servendosi di un arnese adeguato, stringeva e compattava le corde facendone una fune. Il proverbio veniva usato quando si constatava che qualcuno, invece di fare progressi in una attività qualsiasi, andava indietro, un pò come il gambero.

 

94- “Nen hésce nu spose sénza lète, nen hésce nu morte sénza rète”. Non esce uno sposo senza una lite, non esce un morto senza una risata. Spesso succede che, in occasione di un matrimonio, si accenda una lite che può derivare anche da qualche spartizione ritenuta ingiusta. Così pure può succedere che, per qualche motivo che può venire anche all'improvviso, si rida in occasione di un funerale. La morale del proverbio è che, sia nei momenti lieti che nei momenti tristi, può insorgere comicità come pure tristezza.

 

95- “N‘ghe cent'anne de speziarèije, ‘ndi ‘mbarate a légge manghe na ricétte”. Con cento anni di spezieria non hai imparato a leggere neanche una ricetta. La speziarèije era l'attuale farmacia e il farmacista si chiamava lu speziàle. Ad aiutare il farmacista c'erano dei giovani i quali, però, non avevano alcun titolo. Si usava questo detto quando qualcuno mostrava di non sapere certe cose che invece avrebbe dovuto conoscere o per esperienza personale o per ragioni particolari.

 

96- “’Nze pò avé la scarpa hênte e la ‘ssêgna sane”.

 

Non si può avere la scarpa unta e la sugna intera. (Vedi proverbio successivo)

 

97- “’Nze pò tenê lu varèle piene e la mêije ‘mbrijìche”. Non si può avere il barile pieno e la moglie ubriaca. I due proverbi trascritti sono simili, dicono cioè la stessa cosa. Non si può fare uso di una cosa senza che essa si consumi. Il primo proverbio si riferisce ad uno stato di povertà che imperava nel passato: le scarpe invernali si ungevano con il grasso animale per renderle impermeabili all’umidità dell’acqua e della neve. Il secondo proverbio è meno reale, anche se preciso nel suo significato.

 

98- “Nu pare de rêcchie ‘bbùne sì quanta lêngue stracche”. Un paio di orecchie buone sai quante lingue stanca. C’è chi ama parlare ed allora per non contristarlo bisogna dargli la sensazione che lo si ascolti con interesse. Ma è altrettanto vero che c’è chi fa orecchio da mercante ed allora fa intendere che presta attenzione vivissima a chi lo ammonisce o lo riprende per comportamenti non sempre corretti, ma in realtà non ne tiene conto.

 

99- “Nu patre pò campà cénte fèije, cénte fèije nen pò campà nu patre”. Un padre può sostentare cento figli, cento figli non riescono a sostentare un padre. Più che un proverbio possiamo dire che si tratta di una amara constatazione. Dipenderà forse dall'attaccamento che il padre ha verso i figli e dal disinteresse che i figli nutrono verso il padre?

 

100- “O cotte o créte lu foche l’ha vedéte”. O cotto o crudo il fuoco però l’ha visto. Non sempre le cose riescono come si vorrebbe con esattezza. Si vorrebbe che tutto funzionasse alla perfezione, ma ciò non sempre è possibile ed allora qualche volta bisogna accontentarsi delle buone intenzioni.

 

101- “Ognéne sà hêsse ‘Ddèije sà tétte”. Ognuno conosce le proprie cose, Dio sa tutto. E’ un altro proverbio intraducibile che si rovina rendendolo in italiano. Nel dialetto vi si nota una sfumatura che sfugge nella traduzione in lingua. Resta comunque vero che Dio è al di sopra di tutto e di tutti.

 

102- “Passe l’angele e dece ammén”. Passi l’angelo e dica: così sia. Questa espressione si usa quando si augura un buon successo a chi si trova in qualche seria difficoltà. E’ allora che ci si augura che passi l’angelo e faccia realizzare quanto auspicato.

 

103- “Pè lu campe mètta mètte, pè la strate nècchia nècchie”. Nel campo cerca di prendere più che puoi, per la strada (di ritorno), però, ti accorgerai del peso. Una volta la povera gente si recava nei campi per spigolare, per racimolare e per raccogliere la legna da ardere e si cercava di prenderne più che si poteva, però, quando si tornava a casa ci si accorgeva della fatica.

 

104- “Peccate e ‘ddìbbete chije le fa le paghe”. Peccati e debiti chi li fa li paga. Ognuno di noi ha le sue pendenze che possono essere di carattere materiale o spirituale e ciascuno le deve soddisfare. Se sono materiali, come i debiti, devono essere pagati; se sono invece spirituali, come i peccati, devono essere perdonati e scontati. Si tratta di cose che non sono delegabili perchè strettamente personali.

 

105- “Povere ‘lla case dova ‘nge và nisciéne”. Povera quella casa dove non va nessuno. La casa che non è frequentata da nessuno vuol dire che è una casa senza attrattive. E non perchè non è abbastanza capiente, o ricca, o ben messa, ma perchè chi vi abita non è abbastanza ospitale, o addirittura rifiuta il contatto con gli altri. Quella casa, allora, diventa povera di calore umano, di relazioni affettive e di quant’altro possa arricchire i nobili sentimenti dell’animo.

 

106- “Povere a chije se more cà chije cambe se cunzòle”. Povero chi muore perchè chi vive si consola. E’ una triste realtà che però è alla base della sopravvivenza umana. La morte è una perdita e un dolore per tutti però il tempo lentamente cancella la memoria e la vita riprende inesorabilmente. Se non fosse così, la vita si fermerebbe e noi staremmo sempre a piangere.

 

107- “Pridde, mammène e pulle nen é maije satùlle”. Preti, levatrici e polli non sono mai sazi. Che i polli siano ingordi è risaputo, li vediamo sempre intenti a spiluccare per terra, non si vede però, perchè siano stati associati a loro preti e levatrici. Forse, nel passato, avranno fatto registrare anch’essi alcuni stimoli che hanno attestato una loro particolare voracità.

 

108- “Quande ‘cchiù pénne ‘cchiù rénne”. Quanto più pende tanto più rende. Anche in questo proverbio c’è un significato recondito che va al di là della traduzione. Per me potrebbe essere enunciato così: quanto più è ingarbugliata la situazione, tanto più riescono a trarne benefici, sia l’intrallazzatore che il furbo.

 

109- “Quande de core nen me vé, n’accedénte a chije me le fa fà”. Quando non mi viene dal cuore, un accidenti a chi me lo fa fare. Quando i nostri impegni li assolviamo volentieri tutto procede a meraviglia, quando invece c’è l’imposizione di mezzo, allora il nostro comportamento cambia fino al punto di imprecare contro chi ce l’impone. Le cose fatte per costrizione non sono mai piacevoli.

 

110- “Quande la hatte ‘nne arrève a lu larde, dèce ca è ràngeche”. Quando il gatto non arriva al lardo dice che è rancido. E' un pò come l'uva acerba della volpe. Quando una persona non può raggiungere uno scopo, non sempre è disposta ad ammetterlo ed allora prende una scusa per non fare brutta figura.

 

111- “Quande lu diavele te accarêzze, vò l’alme”. Quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima. Guardati da chi ti lusinga! Se qualcuno ti fa molte moine e molti elogi, devi dubitare perché, sicuramente, si ripromette di avere qualcosa da te. Gli adulatori sono una brutta razza: sono pronti a rimangiarsi quello che hanno esternato, se non riescono a raggiungere lo scopo che si erano prefisso.

 

112- “Quande ‘nge sta la gatte, li sérge abballe”. Quando non c’è il gatto, i topi ballano. Avete mai sentito il chiasso che si verifica in una classe quando esce l’insegnante? Lo stesso avviene dovunque quando manca la sorveglianza. Tutti approfittano per fare i propri comodi.

 

113- “Quande tì mandì, ca quande nen tì se mandé da hêsse”. Quando hai reggi, perchè quando non hai si regge da sè. Questo proverbio è molto pratico ed arguto. Quando uno possiede qualcosa cerchi di conservarla perchè, quando non si ha nulla, si cerca invano di sopravvivere.

 

114- “Quêlle che nen và pè trame, và pè stêse”. Quello che non va per trama, va per stesa. In un pezzo di stoffa che una volta le nostre donne tessevano al telaio, la trama e la stesa rappresentavano la parte trasversale e la parte longitudinale della tela. Tutte e due però, facevano parte dello stesso ordito. Nel proverbio si vuole intendere che in un affare tutto si risolve bene, sia se si va per un verso, sia se si va per un altro verso perchè ambedue fanno parte della stessa realtà.

 

115- “Quelle che vèta vète, quelle che sinda sinde, se vu fà ’bbéne nè arecundà maije ninde”. Quello che vedi vedi, quello che senti senti, se vuoi far bene non raccontar mai niente. Questa è una massima molto saggia che ci evidenzia quanto fosse grande la saggezza dei nostri antenati. Non impicciarsi nei fatti degli altri è il segreto di vivere in pace con tutti.

 

116- “San Magne ha nate prème de Crèste”. San Magno è nato prima di Cristo. E’ evidente che qui il Santo non c’entra per niente, c’è soltanto il riferimento al mangiare che vuol dire: intrallazzo, bustarella. In poche parole, il mondo è stato sempre così, è inutile che ci meravigliamo tanto e facciamo gli scandalizzati quasi che tangentopoli fosse una scoperta di Di Pietro; prima di Cristo c’erano gli stessi mangioni di oggi.

 

117- “Se tutte li cille cuniscêsse lu rane, ‘nze magnêsse ‘cchiù lu pane”. Se tutti gli uccelli conoscessero il grano, non si mangerebbe più il pane. Questo proverbio ci fa fare una di quelle considerazioni che si dicono “per assurdo”. In effetti però, è proprio vero che se tutti conoscessero il vero valore delle cose, la loro importanza e la loro bontà, se ne servirebbero di più e i più avveduti, o se vogliamo i più furbi, ne risentirebbero non poco.

 

118- “Se vù cambà cunténte arechiudete déntre a nu cumménte”. Se vuoi vivere contento rinchiuditi dentro un convento. Chi si rinchiude in un convento evita sicuramente certe occasioni, anche se va incontro ad altre situazioni non sempre desiderabili. Il proverbio potrebbe far pensare più ad una smobilitazione che ad un incontro sereno con le realtà della vita.

 

119- “Se vù gabbà lu vicène, addurmete tarde la sêre e azzete préste a la matène”. Se vuoi ingannare il vicino addormentati tardi la sera e alzati presto la mattina. L'inganno non è un sentimento cristiano, ma si usa lo stesso anche dai cristiani. Allora, se si vuol ingannare il vicino, il proverbio ci suggerisce di fare in modo da non essere notato.

 

120- “Seconde lu suldate ije s’appénne la sciabbule”. Secondo il soldato gli si appende la sciabola. Si dice che il passo va fatto secondo la portata della gamba, così si possono affidare incarichi importanti soltanto a coloro che ne hanno la capacità. Non si può pretendere che tutti diano gli stessi risultati quando invece mancano le attitudini richieste per portare a termine un determinato impegno. Anche il ricco della parabola diede i talenti ai servi a seconda della capacità di ciascuno.

 

121- “Sò coma lu setacce, coma me fì t’arefacce”. Sono come il setaccio, come mi fai ti rifaccio. Siamo in pieno paganesimo, quando vigeva la pena del taglione: occhio per occhio dente per dente; Cristo invece ci dice che bisogna perdonare, e ce ne dà l’esempio.

 

122- “Sotte a stu ‘mbrélle, ‘nge nêngue e ‘nge piove”. Sotto quest’ombrello non ci nevica e non ci piove. Questo proverbio veniva accompagnato con dei gesti. Si poneva la mano sinistra rivolta a terra e, contro di essa, si metteva un dito della mano destra, come a formare un ombrello. Si usava quando si era ricevuto qualche torto e si era disposti a contraccambiare.

 

123- “Sparagne e cumbaresce”. Risparmia e fa bella figura. Quante volte per fare un regalo si spendono tanti soldi temendo di non incontrare il gradimento di chi lo riceve. Non sempre però, la qualità e la quantità vanno d’accordo col gradimento stesso. Spesso basta saper scegliere con semplicità per incontrare un successo insperato e, per giunta, si risparmia.

 

124- “Sta ‘bbone Rocche, sta ‘bbone tutta la rocche”. Sta bene Rocco, sta bene tutto il resto. Il proverbio è espressione del più squisito egoismo. L’interesse personale è quello che conta, per cui non importa quel che succede agli altri purchè stia bene il soggetto interessato. Se sta bene lui, stanno bene tutti. Siamo molto lontani dal “fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”.

 

125- “Tante che la paijàre bruscie ascallêmece li mane”. Giacchè il pagliaio brucia, riscaldiamoci le mani. Questo proverbio è molto sottile e ci vuol far capire che, quando succede qualcosa di imprevedibile e di irreparabile, dobbiamo cercare di trarne almeno il minimo vantaggio.

 

126- “Tê ‘nghe li trênghe, ije ‘nghe la paije, foche fì, foche facce”. Tu con i tronchi, io con la paglia, fuoco fai, fuoco faccio. La problematica di questo proverbio riguarda il contrasto sempre più attuale tra ricchi e poveri. I ricchi hanno più mezzi per vivere, i poveri ne hanno meno. Però, per gli imperscrutabili disegni della Divina Provvidenza, tutti sopravvivono. E allora il significato del proverbio è molto semplice e chiaro, al di là della esemplificazione del fuoco: tu con possibilità maggiori, io con minori possibilità, continuiamo a vivere entrambi.

 

127- “Tère a cchije vèdde e coije a cchije nen vèdde”. Tira a chi vide e colpisce chi non vide. A chi parla senza troppa riflessione può capitare di rivolgersi ad una persona mentre ne colpisce un’altra. I particolari talvolta sono talmente superficiali da prestarsi a tali equivoci. Bisogna perciò stare attenti a ben precisare le cose.

 

128- “Tê sì hadde, ije sò ‘bbasse, tê sì fêrbe, ma ije te passe”. Tu sei alto io sono basso, tu sei furbo, ma io lo sono di più. Non basta l’altezza per dimostrare l’importanza degli individui. Spesso chi è basso di statura vale di più e può essere anche più furbo di chi si ritiene tale. Del resto, non dimentichiamo il detto latino facilmente comprensibile “homo longus, raro sapiens”.

 

129- “Ucchije biijnghe e pèle rêsce, ‘nne alluggià se ‘nne chenêsce”. Occhi bianchi e capelli rossi non li ospitare se non li conosci. Gli antichi non vedevano con simpatia gli uomini che avevano gli occhi chiari e i capelli rossi. Forse perchè, non avendo i normali tratti somatici degli Italiani, potevano essere scambiati per degli stranieri nei confronti dei quali bisognava mostrare una certa diffidenza.

 

130- “Ucchije che nen vète, core che nen desèdere”. Occhio che non vede, cuore che non desidera. La cosa che non si conosce non si brama. Come si potrebbe, infatti, desiderare ciò di cui non si conosce l’esistenza? Ma il proverbio ha un significato più recondito ed è questo: se non volete che altri appetiscano le vostre cose cercate di non farle conoscere così non correte alcun rischio.

 

131- “Vale ‘cchié a nasce sotte a na ‘bbona hêre che essere fèije de gran signêre”. Vale più nascere sotto una buona stella che essere figlio di un gran signore. Sicuramente il significato riguarda più il successo personale che non la semplice sopravvivenza. Se è vero, infatti, che il figlio di un gran signore non morirà mai di fame, è altrettanto vero che, per avere successo nella vita, ci vuole qualcosa di più e di diverso.

 

132- Vale ‘cchié na tumbire tra magge e abbrèle che nu carre d’ore e chije le tère”. Vale più un acquazzone tra maggio e aprile che un carro d’oro e chi lo tira. Per far capire l’importanza della pioggia nei mesi di aprile e di maggio, il proverbio usa una dicitura per lo meno esagerata. E’ certamente chiaro che un carro d’oro e i relativi buoi che lo trainano valgono molto più di un raccolto, anche straordinario, di qualsiasi prodotto agricolo.

 

133- “Vatte a ‘ngullà na rote ijù a Tapenille”. Vatti a mettere una ruota sulle spalle giù da Tapenille. “Tapenille”, tipico personaggio atriano dal soprannome intraducibile, costruiva carri agricoli alla periferia della città. Lo spazio di terreno antistante la sua bottega di artigiano era sempre piena di pezzi di legname e di ruote già confezionate per i suddetti carri. Quando si voleva mandare qualcuno a “quel paese” si era soliti usare il proverbio citato sopra.

 

134- “Vénga tarde e vénga ‘bbone”. Venga tardi e venga bene. Quante volte siamo ansiosi perchè le cose non si risolvono a tempo debito e ci fanno attendere forse anche troppo. Non dimentichiamo che c’è l’altro proverbio che dice:”la gatta furiosa fa i gattini ciechi”. Meglio attendere un pò se quest’attesa ci porterà dei risultati più soddisfacenti.

 

135- “Vète mandì sta canne, canne mandì sta vète”. Vite sorreggi questa canna, canna sorreggi questa vite. Sappiamo per esperienza che i poveri si aiutano tra di loro. Tra quelli che hanno poche risorse per sopravvivere c’è maggiore solidarietà che non tra gli abbienti. E allora, nelle necessità, meglio ricorrere all’aiuto di chi non ha molte cose materiali, ma ha cuore largo, come la vite e la canna che, bisognose entrambe, si aiutano a vicenda.

 

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